Cosa serve per un rinascimento degli investimenti in Europa?
Perché l’Europa è rimasta indietro
Dopo una crescita sostenuta negli anni ’90 e nei primi anni 2000, l’economia europea è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria globale (GFC). Da allora, la crescita è rimasta piuttosto debole rispetto a quella degli Stati Uniti.
In parte, ciò è dovuto a una serie di shock che hanno colpito la regione, come la crisi del debito sovrano del 2011 e l’invasione russa dell’Ucraina, che ha provocato un forte aumento dei prezzi dell’energia.
Alla base della debole crescita della regione vi sono sfide strutturali di lungo periodo. Il PIL pro capite dell’UE è inferiore rispetto a quello degli Stati Uniti e circa il 70% di questo divario è attribuibile ad una crescita più debole della produttività.
Ciò dipende soprattutto dal fatto che settori a bassa crescita, come manifattura e servizi bancari, rappresentano una quota maggiore dell’economia europea, mentre il settore tecnologico, in forte espansione, costituisce una parte molto più rilevante dell’economia statunitense.
Anche politiche fiscali e monetarie più restrittive, insieme a burocrazia e regolamentazione eccessive, oltre a una forza lavoro in diminuzione, sono tutti fattori che contribuiscono a rallentare la crescita europea.
Dal 2008, gli utili delle società europee sono rimasti indietro rispetto a quelli statunitensi, restando ancora al di sotto dei livelli precedenti alla crisi finanziaria globale (GFC).
L’Europa accelera gli sforzi di riforma
Un mondo relativamente stabile, l’energia a basso costo proveniente dalla Russia e una forza lavoro sostenuta dall’immigrazione e dalla maggiore partecipazione femminile avevano ridotto la percezione dell’urgenza nel affrontare le sfide di lungo periodo dell’Europa.
Ma gli sviluppi recenti hanno riportato tale urgenza in primo piano: l’invasione russa dell’Ucraina, le garanzie NATO indebolite e l’aumento del protezionismo hanno spinto l’Europa ad agire con maggiore decisione.
Un altro ambito in cui vediamo l’urgenza tradursi in progressi concreti è quello dell’energia.
I prezzi dell’energia nell’UE sono più che raddoppiati rispetto a quelli degli Stati Uniti e della Cina, e la regione dipende fortemente dalle importazioni, rendendo l'area vulnerabile a forze esterne e rischi geopolitici.
Questo ha spinto la Commissione Europea a presentare un piano d’azione per l'energia accessibile, volto a promuovere la concorrenza e ridurre i tempi delle autorizzazioni.
Un approccio selettivo fa la differenza
Riteniamo che investire in Europa significhi ancora — per ora — puntare su opportunità selettive, sostenute da un’agenda sempre più orientata alla crescita.
Un esempio è il settore della difesa, dove riteniamo che i consistenti piani di spesa pubblica possano generare nuove opportunità nelle tecnologie per la difesa. Non parliamo solo di società che operano nell’ambito dell’intelligenza artificiale o del software, ma anche di servizi IT e di componenti hardware, come i semiconduttori, fondamentali per lo sviluppo di tecnologie avanzate.
Vediamo anche opportunità nel breve periodo tra banche, assicurazioni e asset manager europei, poiché ci aspettiamo che svolgano un ruolo centrale nel canale di trasmissione della crescente spesa pubblica in infrastrutture e difesa.
Prevediamo che i tassi d’interesse rimangano positivi e che le curve dei rendimenti siano più inclinate rispetto al periodo pre-pandemico — elementi che sostengono i margini d’interesse delle banche.
Le banche europee, inoltre, registrano già rendimenti medi sul capitale degli azionisti superiori rispetto alle loro controparti statunitensi.
All’interno dei mercati privati, privilegiamo il private equity nei settori della manifattura avanzata e dell’automazione, così come i fondi infrastrutturali focalizzati su riqualificazione industriale, sistemi energetici e logistica.
Secondo Preqin, le infrastrutture rappresentano oggi la seconda asset class più grande per il capitale privato in Europa, con asset in gestione superiori a 600 miliardi di euro e in crescita al ritmo più rapido degli ultimi cinque anni rispetto ad altre regioni.






